Maternità e arte: quali tutele per le artiste madri?

image

C'è un momento, nella vita di un'artista, in cui la creazione può assumere una forma diversa, se lo si desidera. Non è una tela, non è un video, non è una performance: è un figlio. La maternità, per chi lavora nel mondo dell'arte, è spesso un passaggio potente, trasformativo, a volte ingombrante. Eppure, per quanto sia una delle esperienze più universali, rimane ancora oggi poco compresa e, soprattutto, scarsamente tutelata. Nel sistema dell'arte, che si regge su equilibri fragili e precarietà croniche, diventare madre significa spesso sospendere il lavoro creativo o rallentarlo drasticamente. Non esistono contratti standard, tutele diffuse, diritti chiari. A differenza delle dipendenti con contratto a tempo indeterminato, le artiste sono in gran parte lavoratrici autonome, libere professioniste, partite IVA, soggette a regole che raramente tengono conto della loro specificità.

Le tutele previste per le artiste autonome

La legge italiana prevede comunque alcune forme di tutela. Le lavoratrici autonome, comprese quindi le artiste iscritte alla gestione separata INPS, hanno diritto a un'indennità di maternità. Questa copre i due mesi precedenti e i tre successivi al parto, con un calcolo che si basa sul reddito dichiarato nell'anno precedente. Il problema è che questo tipo di supporto, spesso, è esiguo. Chi ha un reddito basso percepisce somme molto contenute, che non sempre bastano a garantire una reale serenità nei mesi in cui il lavoro creativo è impossibile da sostenere. E chi, invece, ha lavorato in nero, o a singhiozzo, rischia di trovarsi completamente scoperta. Altri strumenti esistono, ma sono altrettanto limitati. Il congedo parentale per le autonome prevede tre mesi di permesso retribuito al 30% entro il primo anno di vita del bambino, ma anche qui le cifre sono modeste, e l'accesso è spesso ostacolato da procedure complesse e poco trasparenti.

Alcuni segnali positivi arrivano da fondi integrativi, come quello istituito da NUOVO IMAIE, che prevede un contributo annuo di 4.000 euro per ciascun anno di vita del figlio, fino a un massimo di tre. Ma si tratta, ancora, di strumenti frammentari, pensati più come supporto straordinario che come reale diritto strutturale. In questo contesto, la maternità rischia di diventare una frattura. Interrompe la catena dei contatti, allontana dai circuiti espositivi, rende complicata la partecipazione a residenze, mostre, inaugurazioni. Spesso, le artiste si trovano isolate, senza strumenti per conciliare la cura con la visibilità necessaria a far vivere il proprio lavoro. È un paradosso: proprio nel momento in cui la vita si fa più intensa, l'accesso al mondo dell'arte si restringe.

The Glorious Mother: un collettivo di resistenza

image

Eppure, qualcosa si muove. Durante la pandemia, ad esempio, è nato in Italia il collettivo "The Glorious Mother", una rete informale di artiste-madri che ha iniziato a confrontarsi sulle difficoltà condivise. Da questo dialogo sono nate nuove pratiche, collaborazioni, momenti di auto-narrazione collettiva. Alcune artiste, come il duo Grossi Maglioni, hanno portato i figli nei propri lavori performativi, trasformando la maternità in una parte viva della ricerca artistica. C'è chi ha cominciato a chiedere spazi espositivi child-friendly, chi ha proposto residenze che prevedessero anche l'accoglienza dei bambini, chi ha semplicemente rotto il silenzio, mettendo in discussione il modello produttivo che da decenni domina il sistema artistico: individualista, competitivo, spesso incompatibile con i tempi della cura.

Questi segnali non sono ancora la norma, ma mostrano una strada possibile. Parlare di maternità nel mondo dell'arte non significa solo chiedere più tutele economiche, ma anche immaginare un altro modo di produrre cultura. Uno in cui i corpi non siano invisibili, in cui la vulnerabilità non sia un ostacolo ma una risorsa, in cui il tempo dell'accudimento sia riconosciuto come tempo creativo. In Italia esistono già esperienze interessanti in questo senso. Castello Cabiaglio, ad esempio, ha ospitato progetti residenziali dedicati alle artiste madri, che possono lavorare e al contempo stare con i propri figli.

Altri spazi, come Finestreria a Milano, stanno lanciando open call che tengono conto delle esigenze logistiche e organizzative delle madri. Non è assistenzialismo: è riconoscere che il lavoro culturale non si fa solo nei laboratori o negli studi, ma anche nelle case, tra una poppata e un disegno. Giornate particolari come la Festa della Mamma, che cade a maggio, possono essere l'occasione giusta per riportare questa conversazione al centro. Per smettere di considerare la maternità un fatto privato, e cominciare a vederla come una questione politica, culturale, collettiva. Perché se è vero che ogni artista ha un percorso unico, è anche vero che certe fatiche si somigliano, e meritano risposte strutturate.

Oltre le tutele: un cambio di paradigma

Supportare le artiste madri non significa solo sostenerle nei primi mesi dopo il parto, ma costruire un sistema che consenta loro di non dover scegliere tra creazione e cura. Un sistema che accolga i loro tempi, le loro necessità, le loro visioni. Un'arte che accetta la maternità non come ostacolo, ma come forza generativa. E che sappia trasformare anche questa esperienza, come ogni esperienza vissuta a fondo, in forma, linguaggio, pensiero.

book-blog
Maternità e arte: quali tutele per le artiste madri?